)*(Stazione Celeste)

 

 

IL 3° SPECCHIO ESSENO

di Gragg Braden

 

Il terzo specchio esseno dei rapporti umani è uno degli specchi più facili da riconoscere, perché lo percepiamo ogni volta che ci troviamo alla presenza di  un’altra persona, quando la guardiamo negli occhi, e in quel momento accade qualcosa di magico.  Alla presenza di questa persona, che forse non conosciamo nemmeno, sentiamo come una scossa elettrica, forse anche la pelle d’oca sulla nuca o sulle braccia.  Che cosa è appena successo, in quell’attimo?

Attraverso la saggezza del terzo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che, nella nostra innocenza, noi rinunciamo a delle grosse parti di noi stesi, per poter sopravvivere alle esperienze della vita.  Possono venir perse, senza che noi ce ne rendiamo conto, o forse le perdiamo consapevolmente o ancora ci vengono portate via da coloro che hanno un potere su di noi. 

Talvolta quando ci troviamo in presenza di un individuo che incarna proprio le cose che abbiamo perduto e che stiamo cercando, per poter ritrovare la nostra interezza, i nostri corpi esprimono una risposta fisiologica per mezzo della quale realizziamo di nutrire un’attrazione magnetica verso quella persona.

Se vi trovate in presenza di  qualcuno e, per qualche motivo inspiegabile, sentite l’esigenza di passare del tempo con quella persona, ponetevi una domanda: che cosa ha questa persona che io ho perduto, ho ceduto, o mi è stato portato via?  La risposta  potrebbe sorprendervi molto perché in realtà riconoscerete questa sensazione di familiarità, quasi verso  chiunque incontriate.  Cioè vedrete delle parti di voi stessi in tutti.  Questo è il terzo mistero dei rapporti umani.

Nel 1992, stavo  svolgendo una serie di seminari molto simili a questo  in un bellissimo posto che, a quell’epoca, era una pensione ed un centro per ritiri spirituali. 

Avevamo affittato l’intera struttura, incluso la grande sala al pian terreno, dove ogni sera guardavamo i nostri video.  Una sera stavamo guardando uno stupefacente video con Richard Holden  che presentava una conferenza  alle Nazioni Unite durante una sessione speciale di argomento archeologico incentrato su ciò che, secondo lui, era stato trovato su  Marte nel 1976 dal progetto della sonda Viking.  Era buio, la porta si aprì ed entrarono due persone che chiesero  una stanza e, naturalmente, la pensione  era tutta occupata da noi.

  Videro ciò che stavamo guardando e lo trovarono molto interessante, perciò chiesero di restare con noi ed io acconsentii.  Alla fine della  proiezione, quando si riaccesero le luci, guardai le due nuove arrivate, che erano due viaggiatrici e notai che stranamente una di loro aveva un aspetto molto familiare.  Non l’avevo mai  incontrata prima e tuttavia sentivo un senso di familiarità. Vi è mai successa la stessa cosa, magari in un aereoporto, in una stazione, in un centro acquisti? Anche le drogherie sono ottimi posti, perché lì nessuno ci pensa  né ha aspettative di sorta.

 All’improvviso, anche se non stai cercando di incontrare gente o  di procurarti qualcosa consciamente, qualcuno viene verso di te e tu percepisci questa persona che ti passa davanti e dici: “Santo cielo che cosa è stato?” Forse i nostri occhi si incontrano e per una frazione di secondo avviene una piccola magia, scocca una scintilla di riconoscimento reciproco.

Nella nostra  società questo comportamento non è bene accetto, perciò spesso troviamo il modo di distaccarcene.  Se siamo per strada faremo qualcosa come mandare indietro i capelli, o come fissare una gomma da masticare appiccicata sul selciato o qualunque altra cosa che interrompa quel contatto.

Che cosa succede in quel momento.  Cosa succede quando guardate così qualcuno e sentite quel senso di familiarità?

Ad un certo punto della mia vita ho lavorato con un gruppo di ingegneri e uno di loro provava sensazioni simili molte volte al giorno.  Di regola gli accadeva  con le donne.  Ad esempio usciva dall’ufficio per pranzo oppure per  riscuotere lo stipendio in banca o per fare qualche commissione il venerdì pomeriggio.  Poi tornava, si sedeva immobile alla scrivania.  Allora io gli chiedevo se c’era qualcosa che non  andava e lui mi rispondeva: “Non riesco a lavorare, mi sono innamorato durante la pausa-pranzo.”  Il mio collega si innamorava varie volte al giorno.  Questo gli rendeva la vita un inferno.

Questo è il modo in cui gli specchi si presentano a noi e questa è la ragione per cui vi racconto delle storie vere.  Gli succedeva così spesso che noi colleghi avevamo perfino dato un nome a quell’effetto, lo chiamavamo Effetto Schiaffo. Lui usciva per pranzare e poi tornava e diceva sono stato schiaffeggiato 5 volte.  Voleva  dire che si era innamorato 5 volte.  Riprendevamo il lavoro e intanto lui faceva cose diverse come chiamare la banca dove aveva  incassato l’assegno per chiedere chi era la terza impiegata da sinistra, poi le  telefonava e la invitava a prendere un caffè. Lei rispondeva di sì  e mentre prendevano il caffè, lui osservava la cameriera e sentiva che se ne stava innamorando.  Succedeva continuamente ed era un vero problema per lui perché aveva una moglie e due bei bambini a cui voleva molto bene.   Quello che vi ho narrato era un caso estremo ma ve l’ho mostrato come esempio perché è molto appropriato.

Cosa succede nel momento in cui proviamo quella sensazioni?

Ebbene sto per raccontarvi ciò che è accaduto a me… Quella famosa sera, le luci si accesero, le donne erano lì sedute e quando guardai negli occhi una di loro ebbi la sensazione che accadesse qualcosa di magico. Lei ed io continuavamo a parlare anche dopo che tutti erano andati a dormire.  Allora le chiesi se le andava di fare una passeggiata e lei acconsentì.   La cittadina era così piccola che per attraversarla bastava un minuto.  C’erano un museo, un ufficio postale, una gelateria e si era visto tutto.

La donna ed io abbiamo percorso quel tragitto molte volte quella sera e poi alla fine ci siamo augurati la buona notte, senza che io le avessi chiesto come si chiamava, perché pensavo che la cosa sarebbe finita lì.

Alla fine del seminario sarei dovuto rientrare nel nuovo Messico [...].  Il mattino in cui dovevo partire [...].  Mentre guidavo mi fermai ad un semaforo, alzai lo sguardo e all’angolo vidi proprio la donna che avevo conosciuto la sera prima.  Lo vedete questa storia alla fine ha la sua coerenza.  Lei mi vide  e venne verso la mia macchina per salutarmi, intanto il semaforo era diventato verde e la gente aveva  cominciato a suonare il clacson.  Allora le chiesi se aveva già pranzato e lei mi disse di no, quindi la invitai a salire in macchina.  Andammo a  comprare le ultime cose per il gatto e  poi ci recammo in un delizioso piccolo caffè quasi fuori città dove ci sedemmo  a parlare.

E parlammo, parlammo, parlammo… Restammo lì tutta la mattina. La gente che era venuta a far colazione se ne andò e il  caffè diventò molto tranquillo, poi arrivarono i clienti dell’ora di pranzo, poi anche loro se ne andarono e ci fu di nuovo molta quiete.  La donna doveva  ripartire per la costa Orientale ed io per il Nuovo Messico.  Alla fine  ci dicemmo: “Beh, visto che dobbiamo partire sarà meglio muoverci.”  Lei mi accompagnò alla macchina, le diedi un bacio d’addio sulla guancia e… ancora  oggi non so quale sia il suo nome.

Mentre la guardavo allontanarsi mi successe  questo: sentii una grande tristezza dentro di me  perché iniziavo già a sentire la sua mancanza.  La osservai partire a bordo della sua auto e vidi le luci posteriori sparire lungo la strada. Dieci anni fa se mi fosse successa una cosa simile avrei detto che mi ero innamorato e avrei fatto qualcosa  di molto romantico, come saltare in macchina per inseguirla, fermarla sull’autostrada e dirle cosa provavo per lei.  Sapevo che mi stava succedendo  qualcosa ma sapevo anche che non si trattava di questo. Rimasi seduto in macchina e all’improvviso cominciarono a scendermi sul viso delle grosse lacrime.  Ricordo di aver pensato: Santo Cielo, questa deve essere una lezione veramente potente!

Prima c’era stata quella sensazione di familiarità, ora c’era tristezza perché la donna stava partendo.

Mi limitai a chiudere gli occhi ed a pormi una domanda come faccio spesso, dicendo: ”Padre chiedo che mi venga data la saggezza  necessaria per comprendere la sensazione che prova il mio corpo.”

Quando si fa una domanda come quella di solito ci si aspetta una risposta,  invece io ottenni un’altra domanda; mi stavano facendo lavorare! La domanda era semplice! “Che cos’ha questa donna che ti manca?” Io non avevo pensato al “cosa” sapevo solo che mi mancava!

Cominciai  a riflettere su tutto ciò di cui avevamo parlato e ciò che avevamo condiviso la sera prima e al caffè e capii che quello che mi mancava veramente era la sua innocenza, la sua capacità di stupirsi delle cose.  Era qualcosa di molto importante per me in quel momento della mia vita, perché ero passato attraverso il mondo accademico, il viaggio sacro nell’accademia e  avevo trascorso molto tempo nel mondo aziendale.

Tutto  questo ha un costo, lo sapete anche voi.  Cioè nel ricordare e  nello sviluppare la conoscenza noi perdiamo l’innocenza.

[...]

Così quando capii che cosa mi mancava di quella donna, seppi che non me ne ero innamorato e che lei in poche ore  era stata capace di reggere davanti a me lo specchio di una grande  parte di me stesso che avevo perduto per ottenere ciò che mi ero prefisso di avere nella mia vita..

Credo  che l’abbiamo fatto tutti in una certa misura. Tutti abbiamo ceduto consciamente delle grosse parti di noi stessi oppure le abbiamo perse senza neanche accorgercene, o ci sono state portate via da coloro che hanno avuto potere su di noi.  E tutto questo l’abbiamo fatto per sopravvivere.

 Forse oggi più che mai  in questa fase dell’umanità e della storia geologica, noi chiediamo a noi stessi di riportare a casa quelle parti di ognuno di noi per poterci conoscere nella nostra  interezza e per avere l’esperienza di vita che scegliamo. 

Quella fu un’esperienza fantastica per me.  Sapevo che quella donna mi aveva mostrato il terzo specchio esseno dei rapporti umani: quello che abbiamo perso, ceduto o che ci è stato portato via.

La verità di quest’esperienza è che se siamo veramente sinceri gli uni con gli altri, veri gli uni con gli altri, possiamo vedere e sentire una porzione di noi stessi, semplicemente guardando negli occhi quasi tutte le persone  che incontriamo.

Possiamo cioè provare la sensazione del riconoscimento, della familiarità.  Vi invito a percepire in voi questa sensazione.  Fatelo in luogo pubblico, non importa se è in una stazione, in un aereoporto, o dal fruttivendolo, perché la gente in quei luoghi non si aspetta quel tipo di esperienza.

Quando  qualcuno entra nel vostro campo di consapevolezza  e sentite quella sensazione, iniziate una conversazione su qualunque argomento, se vi succede  come spesso accade, nella sezione della frutta, parlate di frutta e dite: Hmm! Che buon profumo! Che bell’uva! Che belle banane!  Non importa che cosa dite.  Iniziate una conversazione e, mentre i vostri interlocutori  parlano, ponetevi mentalmente questa domanda:  Cosa vedo in questa persona che io ho perso, ho ceduto o che mi è stato preso?”  La risposta  vi sorprenderà, ve l’assicuro

 

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tratto dalla trascrizione della videoconferenza "Camminare tra i mondi"

 

 

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